du 29 septembre au 2 octobre 2018
De Matteo Garrone
Avec Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano
Genres : Policier, Drame
Nationalités : italien, français
Date de sortie 11 juillet 2018 (1h 39min)
Synopsis et détails : Interdit aux moins de 12 ans
Dans une banlieue déshéritée, Marcello, toiletteur pour chiens discret et apprécié de tous, voit revenir de prison son ami Simoncino, un ancien boxeur accro à la cocaïne qui, très vite, rackette et brutalise le quartier. D’abord confiant, Marcello se laisse entraîner malgré lui dans une spirale criminelle. Il fait alors l’apprentissage de la trahison et de l’abandon, avant d’imaginer une vengeance féroce…
Critique lors de la sortie en salle le 10/07/2018 : Par Cécile Mury
Autrefois, quand les petits délinquants à l’italienne perçaient un mur pour cambrioler le voisin, c’était avec les outils de la comédie. Pétri de tendresse et d’ironie, ce cinéma-là dénonçait les injustices et les misères de la société, mais ne rendait pas les armes. Le braquage à l’ancienne du Pigeon (1958), de Mario Monicelli, paraît, aujourd’hui, dater d’il y a mille ans, tant Dogman semble se dérouler dans un autre monde. Une Italie moribonde et froide, magistralement filmée : un enfer presque fantastique de béton écaillé dans une zone périphérique de bord de mer. Il n’y subsiste que les rapports de force, traités sur un ton convulsif, presque à l’os, qui rappelle celui de Gomorra, le film du réalisateur sur la Mafia napolitaine.
Si l’on pense tout de même aux personnages du Pigeon, c’est pour constater qu’ils ont bel et bien disparu. La silhouette chétive et nerveuse de Marcello (extraordinaire Marcello Fonte, Prix d’interprétation à Cannes en mai dernier), toiletteur pour chiens, rappelle, de prime abord, celle de Toto, figure fétiche du cinéma d’hier. Mais l’attachant antihéros d’aujourd’hui est devenu le martyr de Simone, une brute, incapable d’empathie. Cette fois, c’est ce monstre qui braque le film (et perce le mur), imposant son appétit de prédateur à coups de tête. D’abord, Marcello se soumet, dans une impossible quête d’approbation qui dépasse la peur pour toucher à un dégoût ontologique, un insondable renoncement. Il plie, jusqu’à perdre le peu qu’il possède. Il plie, et puis il rompt, et subit alors, autrement, la contagion de la violence. L’Italie de Monicelli se remettait du fascisme, celle de Matteo Garrone en subit de nouveau la barbarie impérieuse. A la lumière de l’actualité, ce n’est plus une vision pessimiste, c’est une réalité : la bête est revenue.
Recensione di Paola Casella mercoledì 16 maggio 2018.
Marcello ha due grandi amori: la figlia Alida, e i cani che accudisce con la dolcezza di uomo mite e gentile. Il suo negozio di toelettatura, Dogman, è incistato fra un « compro oro » e la sala biliardo-videoteca di un quartiere periferico a bordo del mare, di quelli che esibiscono più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni. L’uomo-simbolo di quel degrado è un bullo locale, l’ex pugile Simone, che intimidisce, taglieggia e umilia i negozianti del quartiere. Con Marcello, Simone ha un rapporto simbiotico come quello dello squalo con il pesce pilota.
Marcello procura a Simone quella cocaina che il bullo consuma in quantità esagerate e fa per l’ex pugile da secondo nelle « riscossioni ». Quando Simone sceglierà proprio il negozio di Marcello come base operativa per una rapina gli equilibri fra i due salteranno irrimediabilmente.
Ispirandosi liberamente ad uno dei casi di cronaca più cruenti del nostro passato recente, la vicenda del Canaro della Magliana, Matteo Garrone racconta un’Italia diventata terra di nessuno in cui cane mangia cane, complice l’abbrutimento culturale e sociale che ha allontanato i cittadini non solo dal benessere ma anche dalla solidarietà umana più elementare. Garrone depura la vicenda del Canaro dalla sua componente veramente oscena, ovvero la spettacolarizzazione, arrivando a desaturare la palette di colori con cui dipinge i suoi quadri di desolazione suburbana (meravigliosa la fotografia di Nicolaj Bruel) dei quali sfuma i margini ed evidenzia l’essenza.
Dogman inizia con il ringhio di un pitbull da combattimento ed il terrore speculare degli altri cani chiusi dentro le gabbie del negozio, enucleando così quelle dinamiche di sopraffazione e sottomissione che sono la regola di vita del quartiere. L’ombra di Simone si staglia gigantesca dietro la porta a vetri del canaro, proiezione gonfia di una paura atavica che con il tempo ha dominato gli animi della gente perbene, non soltanto nei quartieri periferici.
E lo sguardo smarrito di Marcello in riva al mare, dopo l’ennesima prepotenza subìta, è quello di un Paese che ha preso consapevolezza del proprio status di vittima, e che « tutto questo non lo accetterà più ». Ma invece di raccontare un’incazzatura alla Quinto potere, o la vendetta efferata e grottesca in cui le cronache hanno abbondantemente sguazzato, Garrone descrive una quieta rivalsa del tutto priva della valenza pulp che ha reso archetipale, e protagonista di uno storytelling ante litteram, il vero Canaro.
Quella di Marcello è un’implosione che non pareggia i conti ma nutre la piramide di soprusi che si erge invisibile all’interno di un quartiere piallato dall’imbarbarimento: perché in questo universo orizzontale ad elevarsi sono solo le palazzine abusive, mai le persone. Il modo in cui i personaggi attraversano questi spazi immondi, come le vele di Scampia in Gomorra o l’ecomostro litoraneo de L’imbalsamatore, è l’essenza del cinema di Garrone, che relaziona l’uomo con un ambiente non più pensato per gli esseri umani, ma diventato labirinto per osservazioni entomologiche.
Altrettanto importante è l’attenzione allo sguardo, tanto quello mite e dolente di Marcello quanto quello, ottuso e pieno di paura, di Simone. Come irreprensibilmente luminosa è l’interpretazione di Marcello Fonte nei panni del canaro – dimensioni da fantino e leggerezza da acrobata circense – è opaca e devastante quella di un irriconoscibile e gigantesco Edoardo Pesce nei panni di Simone: un pitbull che è l’esatto prodotto del suo addestramento e ha la gravitas dei sogni andati a male.
Garrone riesce nel miracolo di costruire una narrazione disperante disintossicandola dalla volgarità dei talk show, e restituendo dignità ferita a tutti personaggi.