du 14 au 17 novembre
De David Grieco
Avec Massimo Ranieri, Libero De Rienzo, Matteo Taranto
Nationalités : italien, français
août 2019 / 1h 40min / Drame, Biopic, Policier
Synopsis : Pendant l’été 1975, Pier Paolo Pasolini termine le montage de son dernier film, « Salò ou les 120 journées de Sodome ». Son œuvre suscite de fortes polémiques et provoque des débats par la radicalité des idées qu’il y exprime. Au mois d’août, le négatif original du film est dérobé et une rançon importante est exigée. Prêt à tout pour récupérer son film, Pasolini va se laisser enfermer dans une terrible machination qui le conduira à sa perte.
Télérama Critique par Hélène Marzolf
Les derniers mois du cinéaste, reconstitués par son ex-assistant. Une errance hypnotique, entre fiction et réalité, tragédie et complot.
Le 2 novembre 1975, le corps de Pier Paolo Pasolini est retrouvé sur la plage d’Ostie. Point d’orgue d’un film reconstituant les derniers mois du sulfureux cinéaste, depuis le vol des bobines de Salò ou les 120 Journées de Sodome, jusqu’à ce meurtre non résolu. A-t-il été tué par son amant Pino Pelosi — thèse officielle aujourd’hui remise en question ? S’agit-il d’un complot ? Ex-assistant de Pasolini, David Grieco prend parti pour la seconde option. Mêlant faits réels et imaginaires, faux et vrais protagonistes, il met en scène une machination plausible, impliquant mafia, partis au pouvoir et petits voyous, dans l’Italie des années de plomb. Il évite l’écueil du film-dossier, en faisant avancer l’histoire à la manière d’une tragédie dont le personnage principal se saurait condamné. Errant la nuit au volant de sa voiture à la recherche de jeunes garçons, écrivant, le jour, un livre-enquête sur les coulisses de la mort de l’industriel Enrico Mattei, Pasolini apparaît désespérément seul, ressassant ses obsessions avec la conscience de n’avoir plus « (s)a place nulle part ».
Cette relecture de la fin de la vie du cinéaste cultive une esthétique froide de statuaire, brouille la frontière entre fiction et réalité : la mort de Pasolini est ainsi répétée comme une scène de cinéma. Et l’image, alternant noir et blanc et couleur, avec des effets de surimpression, participe du sentiment de passer de part et d’autre de l’écran… On peut reprocher à Grieco une stylisation un peu pompière — encore renforcée par la saisissante musique d’Atom Heart Mother de Pink Floyd —, mais le film finit par produire un effet hypnotique. Et la ressemblance entre Massimo Ranieri et le réalisateur assassiné est frappante.
Recensione di Giancarlo Zappoli
martedì 22 marzo 2016
Un Massimo Ranieri al top dell’immedesimazione in un lavoro che coniuga uno stile ben riconoscibile a una contestualizzazione filologicamente accurata.
Estate 1975. Pier Paolo Pasolini sta montando quello che sarà il suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Sta anche lavorando alla stesura del romanzo « Petrolio » con cui porta alla luce gli oscuri intrecci tra potere politico e potere economico in Italia. Da alcuni mesi ha avviato una relazione con Pino Pelosi, un giovane borgataro romano che ha rapporti con la criminalità cittadina. Una notte degli amici di Pelosi rubano il negativo del film e chiedono inizialmente una cifra molto consistente per restituirlo. Si tratta però di un tentativo per attirare lo scrittore in una trappola mortale.
David Grieco riapre la discussioni e, soprattutto, le riflessioni sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Era necessaria una buona dose di coraggio e di determinazione per affrontare nuovamente un tema che le inchieste a carattere documentaristico e il cinema di finzione hanno già ampiamente trattato. Ma Grieco ha dalla sua due forti motivazioni la prima (e decisamente più importante) quella di essere stato vicino allo scrittore sia come attore che come assistente e soprattutto amico. La seconda quella di aver rifiutato la proposta di collaborare alla sceneggiatura del Pasolini di Abel Ferrara quando ha capito che il regista puntava più al versante sessuale degli ultimi giorni di vita dello scrittore che non alla ricerca della verità sulla sua morte. Questo è invece ciò che interessa al regista che, grazie alla collaborazione con il professor Guido Bulla che nel film ha anche il ruolo di segretario di una sezione del MSI, ha scritto una sceneggiatura rigorosa così come rigoroso è il film che ne è conseguito.
Il cinema italiano sembrava aver progressivamente perso, nel corso dei decenni, l’interesse a proporre ricostruzioni di fatti importanti come questo prestando attenzione al contempo alla contestualizzazione filologicamente accurata e a uno stile ben riconoscibile. Pareva quasi che in materia (fatte le dovute eccezioni) dovesse essere la televisione, con il linguaggio che le è proprio, ad occuparsene. Grieco ha una tesi e la espone in modo consequenziale: Pasolini dava fastidio a quelli che all’epoca ancora non venivano definiti come ‘poteri forti’ ma che di fatto lo erano. Pelosi, che non era il soggetto di un rapporto occasionale ma che invece frequentava da tempo lo scrittore, è stato solo uno dei responsabili della sua uccisione e non ‘il’ responsabile. Questa rimessa in discussione del ‘caso’ non avrebbe però avuto la forza che invece gli va riconosciuta se davanti alla macchina da presa non ci fosse stato un Massimo Ranieri al top dell’immedesimazione, sia fisica che caratteriale, con il personaggio. Ranieri è capace di far scomparire l’attore nello scrittore e nell’uomo Pasolini tanto da far ricordare, sul piano della prestazione, il Gian Maria Volonté de Il caso Moro.